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La digitalizzazione della P.A. nella lotta alla corruzione: l'accesso civico generalizzato e gli open data

1. Introduzione

Nel tempo, in Italia sono state introdotte diverse misure volte a prevenire e combattere la corruzione all'interno della pubblica amministrazione (P.A.). Tra di esse assume particolare rilievo la trasparenza, la quale acquista ancor più concretezza grazie al continuo e ineludibile processo di transizione digitale della P.A.

Nell'articolo precedente sono stati analizzati il diritto di accesso documentale disciplinato dalla legge n. 241 del 1990 e il diritto di accesso civico c.d. semplice di cui al decreto legislativo n. 33 del 2013. In questa sede si procederà ad esaminare le novità apportate dal decreto legislativo n. 97 del 2016, il quale ha introdotto il diritto di accesso civico c.d. generalizzato. Si illustrerà, infine, il concetto di riuso dei dati pubblici.



2. Il decreto legislativo n. 97 del 2016 e la trasparenza c.d. ragionata

Il graduale mutamento della prospettiva del legislatore in relazione alla trasparenza emerge con maggior chiarezza con la legge n. 124 del 2015 (c.d. legge Madia), il cui obiettivo era una riorganizzazione generale di tutta la P.A. Tale atto normativo conferiva una delega all’Esecutivo per la modifica dell’allora vigente disciplina in materia di trasparenza: si è giunti così all’adozione del decreto legislativo n. 97 del 2016 (c.d. decreto FOIA). Con esso si è voluto avvicinare la disciplina italiana al modello del Freedom of Information Act statunitense del 1966 (noto, appunto, con l’acronimo «FOIA»), il quale garantisce a chiunque il diritto di accedere alle informazioni detenute dalle pubbliche amministrazioni, salvo i limiti posti a tutela degli interessi pubblici e privati stabiliti dalla legge.

Nel modello FOIA il fine da raggiungere è la trasparenza e il mezzo per attuarlo è l’accesso. Alla luce di ciò, la pubblicità rappresenta la regola generale, mentre la riservatezza è l’eccezione. Al contrario, nella disciplina originaria del d.lgs. 33/2013 la riservatezza era la regola e la pubblicità l’eccezione, «dato che non [era] possibile accedere a quelle numerose informazioni non rientranti fra quelle poche espressamente oggetto di obblighi di pubblicazione» (S. Rossa, 2020). A tal proposito, è ritenibile che il d.lgs. 97/2016 abbia segnato il passaggio dalla trasparenza «difensiva» dell’anzidetto decreto legislativo del 2013 alla trasparenza «ragionata». Quest’ultima espressione, coniata dalla dottrina statunitense, indica una trasparenza che non è posta in essere soltanto per divulgare informazioni relative a cosa la P.A. sta facendo, ma anche per promuovere una comprensione del perché la P.A. fa ciò che sta facendo. Dunque, la trasparenza diverrebbe «ragionata» proprio perché l’amministrazione sarebbe chiamata a giustificare l’adozione di una determinata scelta anziché un’altra mediante il coinvolgimento dei cittadini, spingendosi oltre il mero obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi.



3. L'accesso civico generalizzato

Al fine di porre rimedio alla scarsa efficacia degli obblighi di pubblicazione nel perseguimento della trasparenza, il d.lgs. 97/2016 ha apportato alcune modifiche sostanziali al testo del c.d. codice della trasparenza: tra di esse, è di particolare rilievo l’emendamento dell’art. 5 d.lgs. 33/2013, il quale disciplinava già l’accesso civico come conseguenza degli obblighi di pubblicazione. Nello specifico, il riformato secondo comma dell’art. 5 cit. ha introdotto il diritto di accesso civico c.d. generalizzato, vale a dire il diritto di chiunque di accedere anche ai dati e documenti delle Amministrazioni per i quali non vi sia un espresso obbligo di pubblicazione ai sensi della disciplina dell’accesso civico.

Risulta opportuno precisare che l’accesso civico generalizzato introdotto dal decreto FOIA coesiste con quello che, a posteriori, è stato definito accesso civico «semplice». Con quest’ultima espressione si fa riferimento al diritto di accesso previsto sin dall’origine dal d.lgs. 33/2013 (e ora disciplinato al primo comma dell’art. 5 d.lgs. 33/2013, così come modificato dal d.lgs. 97/2016). Non a caso, in dottrina vi è chi non ha condiviso la scelta del legislatore di introdurre un nuovo istituto nella medesima norma dell’accesso civico semplice, senza peraltro prevedere una specifica denominazione giuridica per l’accesso civico generalizzato (sul punto, G. Gardini, 2017).

L’accesso civico previsto dal d.lgs. 97/2016 appare generalizzato non tanto perché – come per l’accesso civico semplice – il suo esercizio non sia subordinato alla sussistenza di un interesse giuridico qualificato ovvero alla presentazione di una motivazione, quanto per «la sua sottrazione al parametro degli obblighi di pubblicazione prestabiliti dalla legge» (S. Rossa, 2020). Infatti, ad eccezione dei casi di esclusione espressamente contemplati, il diritto di accesso civico generalizzato consente a chiunque di richiedere potenzialmente qualsiasi dato e documento detenuto dalle amministrazioni.

Quanto alla ratio dell’istituto dell’accesso civico generalizzato, essa consiste nel «favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e [...] promuovere la partecipazione al dibattito pubblico» (art. 5, comma 2, d.lgs. 33/2013, testo vigente). In altre parole, attraverso tale strumento, il legislatore invita i cittadini a richiedere e utilizzare i dati e documenti per prendere parte in modo attivo al dibattito pubblico e all’attività degli stessi soggetti pubblici.

In riferimento all’oggetto del diritto di accesso civico generalizzato, il vigente art. 5, comma 2, d.lgs. 33/2013 contempla soltanto i dati e i documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni: sono dunque da ritenersi escluse le informazioni, le quali sono invece ricomprese (insieme ai dati e ai documenti) nell’ambito dell’accesso civico semplice (cfr. art. 5, comma 1, d.lgs. 33/2013, testo vigente).

Come anticipato, l’accesso civico generalizzato incontra alcuni limiti, i quali sono rinvenibili all’art. 5-bis del d.lgs. 33/2013, così come modificato dal d.lgs. 97/2016. In particolare, la richiesta dev’essere rifiutata allorquando il diniego sia «necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi pubblici inerenti a: a) la sicurezza pubblica e l'ordine pubblico; b) la sicurezza nazionale; c) la difesa e le questioni militari; d) le relazioni internazionali; e) la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato; f) la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento; g) il regolare svolgimento di attività ispettive» (comma 1 dell'art. 5-bis cit.). In aggiunta, l’accesso generalizzato dev’essere «altresì rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno dei seguenti interessi privati: a) la protezione dei dati personali [...]; b) la libertà e la segretezza della corrispondenza; c) gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d'autore e i segreti commerciali» (comma 2 dell'art. 5-bis cit.). Infine, il diritto di accesso in esame è «escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge» (comma 3 dell'art. 5-bis cit.). È comunque stabilito che, qualora gli anzidetti limiti riguardino soltanto alcuni dati o alcune parti del documento richiesto, debba essere consentito l’accesso agli altri dati o alle altre parti.

In assenza di specifici limiti individuati ex ante dal legislatore, la singola amministrazione, nel decidere se accogliere o meno la richiesta di accesso civico generalizzato, è chiamata ad operare un bilanciamento tra tale diritto e gli altri interessiritenuti meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 5-bis del riformato d.lgs. 33/2013. A seguito di tale bilanciamento discrezionale – il quale avviene ex post – le probabilità che la P.A. rigetti la richiesta sono abbastanza elevate. La conseguenza è che, seppur sul piano formale la trasparenza introdotta dal decreto FOIA appaia più ampia rispetto a quella prevista in origine dal codice della trasparenza, essa potrebbe risultare ridotta sul piano concreto. Infatti, considerando le «troppo poco puntuali» limitazioni all’accesso generalizzato definite espressamente dal legislatore, parrebbe concreto il rischio che la discrezionalità dell’amministrazione conduca a un bilanciamento restrittivo dell’istanza di accesso (in tal senso, D. Galetta, 2016). Risulterebbe così assai fragile l’effettiva attuazione dei principi di trasparenza e di partecipazione perseguita dal legislatore del 2016.



4. Il riuso dei dati pubblici e il paradigma degli open data

In dottrina si sostiene che il solo accesso civico generalizzato, così come delineato

dal d.lgs. 97/2016, non sia in grado di garantire una piena ed effettiva partecipazione della cittadinanza: al fine di raggiungere detto obiettivo, si renderebbe necessario legare l’accesso al riuso dei dati pubblici. Quest’ultimo consiste nell’utilizzo ulteriore del dato rispetto alla funzione e al procedimento amministrativo nell’ambito del quale esso era stato inizialmente raccolto. In particolare, se «una volta ottenuto il dato, il cittadino [è] libero altresì di riutilizzarlo, anche a fini di attività d’impresa», i summenzionati principi di trasparenza e di partecipazione vengono pienamente realizzati (S. Rossa, 2020). Questo perché, riutilizzando i dati provenienti dalla P.A., il cittadino pone in essere un’attività finalizzata alla conoscenza: si tratta di una conoscenza che – a prescindere dalla finalità per cui verrà in seguito impiegata – è idonea a creare un nuovo valore sociale ed economico, costituendo in tal modo un vantaggio, oltre che per il singolo, anche per l’intera collettività.

I dati di cui la P.A. consente il riutilizzo prendono il nome di dati aperti (open data) e sono messi a disposizione in un apposito sito Internet (dati.gov.it) istituito dall’Agenzia per l’Italia digitale. Ai sensi dell’art. 50, comma 1, CAD, i dati delle Amministrazioni sono «resi disponibili e accessibili con l’uso delle tecnologie [...] che ne consentano la fruizione e riutilizzazione, alle condizioni fissate dall’ordinamento, da parte delle altre pubbliche amministrazioni e dai privati». Inoltre, l’art. 1, comma 1, lett. l-ter, CAD prescrive che tali dati debbano essere «adatti all’utilizzo automatico da parte di programmi per elaboratori», oltre che essere «resi disponibili gratuitamente [...] oppure [...] ai costi marginali sostenuti per la loro riproduzione e divulgazione». Si evince pertanto la sussistenza di un vero e proprio obbligo, in capo alle singole amministrazioni, di rendere riutilizzabili – secondo il paradigma degli open data – i dati pubblici, anche per finalità commerciali. Ciò deve avvenire in modo tendenzialmente gratuito e attraverso le tecnologie digitali.

L’obbligo di rendere disponibili gli open data è accompagnato dalla previsione di una specifica sanzione, la quale consiste nel «mancato raggiungimento di uno specifico risultato e di un rilevante obiettivo da parte dei dirigenti responsabili delle strutture competenti e comporta la riduzione [...] della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei dirigenti competenti» (art. 50, comma 3-ter, CAD).

In ultima analisi, se appare chiaro come l’accesso ai dati sia stato reso concretamente possibile grazie al processo di digitalizzazione della P.A. e dell’intero Paese, è ancora più evidente la stretta interrelazione tra il riuso dei dati pubblici e il sempre maggiore grado di «maturazione digitale» della società (S. Rossa, 2020).



5. Conclusioni

Come è stato opportunamente evidenziato nel corso della trattazione, il principio di trasparenza dell’azione amministrativa si presenta come un pilastro fondamentale per prevenire e contrastare i fenomeni corruttivi. Nel corso degli anni, l’evoluzione normativa ha comportato significativi passi in avanti, delineando diversi strumenti attraverso cui perseguire la trasparenza. Per quanto concerne lo stretto legame che intercorre tra quest’ultima e il continuo processo di digitalizzazione della P.A., dall’analisi compiuta è emerso con chiarezza come siano proprio le nuove tecnologie a rendere concretamente accessibili alla cittadinanza i dati, le informazioni e i documenti pubblici.

In particolare, si è visto come dal semplice diritto di accesso documentale della legge 241/1990, orientato a una trasparenza c.d. debole volta principalmente alla tutela di interessi giuridici individuali, si è giunti al decreto legislativo 33/2013, il quale ha segnato un approccio c.d. difensivo alla trasparenza, stabilendo specifici obblighi di pubblicazione in capo alla P.A. e introducendo un contrapposto diritto di accesso civico c.d. semplice. Ciò ha determinato una svolta importante, in quanto ha reso possibile – seppur con alcuni importanti limiti – un controllo diffuso sull’azione amministrativa da parte della collettività. Da ultimo, è stato esaminato l’accesso civico c.d. generalizzato introdotto dal decreto legislativo 97/2016, il quale ha cercato di superare le precedenti limitazioni e incentivare maggiormente la partecipazione al dibattito pubblico, consentendo ai cittadini di richiedere anche dati e documenti per cui non è previsto alcun obbligo di pubblicazione (fatte salve le ipotesi di conflitto con taluni interessi pubblici o privati).





Bibliografia

  • Galetta D., Accesso civico e trasparenza della Pubblica Amministrazione alla luce delle (previste) modifiche alle disposizioni del Decreto Legislativo n. 33/2013, in Federalismi.it, 5/2016, p. 10.

  • Gardini G., Il paradosso della trasparenza in Italia: dell'arte di rendere oscure le cose semplici, in Federalismi.it, 1/2017, pp. 6-8.

  • Rossa S., Trasparenza e accesso all’epoca dell’amministrazione digitale, in R. Cavallo Perin – D. Galetta (a cura di), Il diritto dell’amministrazione pubblica digitale, Giappichelli, Torino, 2020, pp. 262-265.


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