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L'IA: autore o strumento?

Aggiornamento: 19 apr 2024

I recenti sviluppi tecnologici – segnatamente l'avvento dell'intelligenza artificiale – hanno fatto sorgere in molti un quesito: se un uomo ben poco, o quasi nulla, contribuisce alla creazione di un'opera, è da ritenersi autore? oppure è possibile considerare autore, in senso giuridico, anche un soggetto diverso dall'uomo? Al di là degli evidenti argomenti correlati, che intersecano la filosofia del diritto, bisogna considerare, approcciandosi alla domanda, che in realtà questioni simili sono state affrontate in passato, dalla giurisprudenza.

Il dato normativo, per la verità, non lascia spazio a speculazioni: è detto, in modo chiaro, che l'opera tutelabile col diritto d'autore è il frutto dell'ingegno umano. Si prenda, a titolo d'esempio e per chiarezza, nell'ordinamento italiano l'art. 6 della legge 633/1941, sul diritto d'autore, che expressis verbis qualifica l'opera quale particolare espressione del lavoro intellettuale.

Se in Italia nessuno fino ad ora ha, effettivamente, suggerito un autore diverso dall'essere umano, diversamente negli Stati Uniti. In un celebre caso del 2015, l'associazione animalista PETA (People for Ethical Treatment of Animals) ha cercato di revocare in dubbio questo concetto: citò in giudizio davanti alla Corte per il nono distretto della California, a San Francisco, un fotografo per la violazione del diritto d'autore che – secondo PETA – sarebbe appartenuto ad un cinopiteco (un primate). Sebbene possa suscitare ilarità, la questione, posta in questi termini volutamente semplicistici, merita di essere approfondita.

Per l'ordinamento statunitense, un soggetto può porsi quale next friend di un altro, in giudizio, ossia rappresentante e portatore di interessi di qualcuno che, da solo, non potrebbe esercitare i propri diritti. Il caso verteva su alcuni autoscatti, realizzati dal primate, di nome Naruto, tramite l'apparecchiatura del fotografo David Slater, che li ha poi pubblicati come propri. PETA sosteneva che autore fosse proprio il macaco e, pertanto, sosteneva la violazione di copyright da parte di Slater.

La Corte si pronunciò molto nettamente nel senso di negare che potesse riconoscersi in capo al primate un diritto d'autore, statuendo:

The argument that animals have statutory standing to maintain a Copyright Act claim — or any property right claims — is an easy question. Under […] the Copyright Act, and basic property law, animals have no such rights.

Il caso ha profili di affinità – anche se, è evidente, con differenze notevoli – con il tema da cui siamo partiti, e l'atteggiamento di chiusura della Corte di San Francisco, confermata poi in appello, rende chiaro come ad oggi, negli Stati Uniti ma anche nel resto del mondo, non sia possibile considerare autore un soggetto che umano non sia. Illazioni a parte, pertanto, l'intelligenza artificiale non può essere ritenuta un autore autonomo.

Questa conclusione, che appare quasi ovvia, si scontra, in ogni caso, con la necessità di regolazione e certezza di un fenomeno in netto sviluppo e che, in futuro, sarà sempre più pervasivo: la creazione di un enorme traffico di opere, grafiche e non, tramite l'intelligenza artificiale. Da chiedersi, dunque: è accettabile che non ci siano regole per tale flusso? Una risposta negativa sorge istintiva.

In questo senso, conviene logicamente passare ad un'altra considerazione, pure ovvia, forse, ma doverosa prima di proseguire con il ragionamento: l'intelligenza artificiale, senza l'input umano, non crea proprio un bel niente. E quindi, non è forse assimilabile ad uno strumento, per l'estrinsecazione tradizionale della creatività umana?

In parte sì, in parte no. Mi spiego: un pennello, per quanto di ottima fattura, non può "assorbire" fino a rendere irrilevante la creatività umana, che è condizione di base per la protezione di un'opera con il diritto d'autore. Dall'altro lato, invece, è ben possibile che l'utilizzo dell'intelligenza artificiale, pur considerata come strumento, prenda il sopravvento sul contributo umano e renda, di conseguenza, l'opera risultante nei fatti, non più frutto dell'ingegno umano, dunque non soggetta al diritto d'autore.

Proprio sulla scorta di questo ragionamento, il 18 agosto 2023 la District Court for the district of Columbia si pronunciava sul caso Thaler v. Perlmutter. Shira Perlmutter rappresentava il Copyright Office, che si era rifiutato di registrare un'opera presentata dal signor Thaler, perché ritenuta frutto dell'intelligenza artificiale, non del suo ingegno: un tipico caso in cui non è stato ritenuto sufficiente l'apporto umano. Thaler ricorreva giudizialmente contro la decisione del Review Board del Copyright Office, che confermava la decisione in prima istanza di rifiutare la registrazione. La Corte stessa si è espressa rigettando il ricorso di Thaler, per il fatto che, si cita, l'ingegno umano è ritenuto «[condicio] sine qua non at the core of copirightability».

Ad oggi, dunque, il tema, alla base, è capire quali opere siano frutto di un prevalente ingegno umano e quali, invece, siano prodotti di un "ingegno artificiale", se così può essere definito. Saranno le macchine in futuro di creare autonomamente opere grafiche o letterarie?





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