La comunicazione della sostenibilità: il rischio di greenwashing
- Alberto Ghirardi
- 1 mag 2024
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 2 mag 2024
1. Introduzione
Per greenwashing si intende generalmente la pratica di comunicare all’utente, attraverso qualsivoglia mezzo di comunicazione, caratteristiche ambientali o sostenibili di prodotti o servizi in realtà inesistenti, o non esattamente corrispondenti alla descrizione fatta.
Dall’analisi del contesto economico-sociale odierno risulta evidente, come, il tema dello sviluppo di un mercato sostenibile dal punto di vista ambientale, sia divenuto di importanza centrale nelle politiche europee e non solo. Questa diversa sensibilità e attenzione per le tematiche green è in primo luogo venuta in rilievo nella modificazione delle abitudini di consumo dei consumatori. È infatti aumentato il numero di consumatori definibili «consumatori etici» i quali si ritengono interpreti di un ruolo che trascende quello del mero consumatore che orienta le sue scelte in funzione solamente dei propri bisogni, ma vedono nell’atto di consumo un’azione che deve rispondere a determinate considerazioni etiche, come quelle del rispetto di determinati standard di protezione ambientale, sulla base della convinzione che le loro scelte individuali di acquisto possano contribuire a un mercato più giusto ed equo. I consumatori risultano quindi conferire una crescente importanza alle informazioni ambientali veicolate dalle imprese, oltre a essere spesso disposti a pagare un prezzo più elevato pur di avere beni che possano definirsi sostenibili.
2. La comunicazione della sostenibilità
Un problema particolarmente meritevole di indagine i relazione al rapporto tra diritto e nuove tecnologie è quello riguardante la trasparenza del mercato dei prodotti green. Nell’ultimo decennio, vista l’esplosione di una nuova forma di comunicazione prima sconosciuta, ossia quella effettuata attraverso l’uso dei moderni mezzi di comunicazione, è diventato sempre più frequente il rischio che la sostenibilità e la relativa comunicazione della stessa diventi per le imprese una semplice strategia di marketing. Quotidianamente avvengono numerose interazioni fra gli utenti delle diverse piattaforme multimediali che, indirettamente, implicano che il soggetto venga, più o meno consapevolmente, a contatto con una mole di informazioni pubblicitarie spesso fuorvianti o infondate, sulla presunta eco-compatibilità dei prodotti. L’attenzione deve ricadere allora, sul problema della verificabilità, la chiarezza, la precisione e la qualità dei green claims, ossia le affermazioni volte a creare nel consumatore la convinzione che il prodotto, il servizio o anche solo l’imballaggio offerto producano un ridotto impatto ambientale rispetto a prodotti o servizi concorrenti.
Proprio con riguardo alla comunicazione della sostenibilità, la dottrina, partendo da un esame della giurisprudenza del Giurì di autodisciplina pubblicitaria e dell’AGCM, ha individuato una possibile classificazione dei claims in tema di informazione ambientale e delle relative pratiche che possono integrare greenwashing.
In primo luogo, vi sono dei claim che possono considerarsi «normalmente» ingannevoli. Si tratta di dichiarazioni ingannevoli ai sensi della normativa generale ma che vertono su aspetti ambientali. Si può pensare al caso di un produttore che pur rivendicando la superiorità in termini di sostenibilità, della propria produzione non riesca a dimostrare con dati verificabili la maggior eco sostenibilità del proprio progetto.
Vi sono poi alcuni aspetti che sono tipicamente problematici della comunicazione ambientale. In tale comunicazione, intesa sia nel senso tradizionale che attraverso piattaforme digitali, vengono spesso utilizzati specifici claim volti a enfatizzare gli aspetti ecologici del prodotto spesso attraverso un massiccio utilizzo di colori e simbologie grafiche che richiamano in via generica la tutela ambientale. Nascono quindi problemi in ordine alla chiarezza e al significato di tali espressioni che frequentemente, pur assumendo connotazioni sfumate ed eterogenee, non si risolvono in situazioni di palese falsità, ma possono risultare comunque idonee a indurre in errore il consumatore. L’AGCM, intervenendo in materia, ha spesso ribadito in più pronunce come i claim ambientali, a differenza di quanto accada con rivendicazioni di altro tipo relative al prodotto, non possano basarsi su una strategia comunicativa generica bastata solo su simboli, immagini e diciture accattivanti, ma debbono essere precisi e ricollegati a reali e specifici aspetti del prodotto.
Altra tipologia sono i claim ingannevoli ossia dichiarazioni ambientali che sono fuorvianti per il consumatore in quanto irrilevanti. Infatti, nonostante vengano dichiarate qualità vere del prodotto, si tratta di caratteristiche che lo stesso deve possedere (o, al contrario, non possedere) in quanto imposte dalla legge.
3. Il passaporto digitale del prodotto europeo
Una importante iniziativa delle autorità comunitarie in materia di contrasto alla disinformazione verde è la proposta di Regolamento volta a istituire il «Passaporto digitale del prodotto Europeo» (Dpp). Si tratta di un'iniziativa volta a implementare un sistema digitale, basato sulla scansione di QR code attraverso lo smartphone del consumatore, pensato per tracciare e documentare in modo esaustivo la filiera produttiva dei prodotti. Alcuni settori come quello dell’abbigliamento e dell’elettronica sono stati designati per adottare il Dpp prima degli altri, già nel 2027, a causa del loro impatto sull'ambiente e/o del loro elevato potenziale di circolarità. Questo approccio mira a fornire una maggiore trasparenza e tracciabilità lungo l'intera catena di approvvigionamento, offrendo ai consumatori accesso a informazioni dettagliate e verificabili riguardo alla provenienza, alla sostenibilità e ad altri aspetti rilevanti dei beni che intendono acquistare quali le condizioni di produzione, i materiali utilizzati, i processi di trasformazione e le pratiche di gestione ambientale e sociale adottate lungo la catena di fornitura. Per le imprese coinvolte, il primo passo cruciale sarà dover formulare una propria strategia relativa al Dpp che dovrà essere fondata su una ricerca accurata avente a oggetto il Regolamento e ciò che richiede oltreché su una comprensione approfondita della propria catena di fornitura e su come la normativa comunitaria si applichi specificamente al contesto aziendale.
La tecnologia si rivela quindi, anche in questo frangente, un potenziale pericolo, visto la maggiore possibilità e frequenza con cui i consumatori possono venire esposti a dichiarazioni ambientali ingannevoli; ma allo stesso tempo una risorsa, permettendo, al nuovo «consumatore etico» di accertarsi di quale sia il vero impatto ambientale del prodotto da lui scelto, rendendo quindi molto più difficile per i produttori condurre campagne di green marketing ingannevoli.
Bibliografia
De Gioia Carabellese P., Derivati sostenibili, “greenwashing” e tutela legale; dallo “Stakeholder” al “greenstakeholder”, in Ambientediritto.it, 3/2021, pp. 16 ss.
Marcatajo G., Trasparenza sul mercato, tutela del consumatore e greenwashing, in Jus, vita e pensiero, 2022.
Pappalardo C., Sottolineare il carattere ecologico di un prodotto nell'attuale momento storico, nel quale il valore ecologico riscuote la generalità dei consensi - Trent'anni di GreenClaim nella giurisprudenza del Giurì e dell'AGCM, in Rivista di Diritto Industriale, 3/2021, p. 235.
Quarta A., Per una teoria dei rimedi nel consumo etico. La non conformità sociale dei prodotti tra vendita e produzione, in Contratto e impresa, 2021., p. 524.
Comments