Le opere generate dall'intelligenza artificiale sono realmente «creative»?
- Redazione
- 27 nov 2024
- Tempo di lettura: 14 min
Aggiornamento: 2 dic 2024
La creatività nella disciplina nazionale e comunitaria del diritto d’autore
La disciplina del diritto d’autore nella sua accezione contemporanea è espressione dell’impronta prevalentemente personalistica assunta dalla Costituzione repubblicana e trova le proprie fonti primarie negli artt. 2, 9 e 21 Cost., consentendo di tutelare in maniera pregnante le creazioni frutto dell’ingegno umano – su questo assunto si tornerà in seguito – individuale o collettivo che sia.
Pur trattandosi di un insieme di norme dal carattere indubbiamente individualistico, di pari rilevanza risulta essere anche la ratio secondaria sottesa a questa branca del diritto privato, ossia quella di favorire il progresso e l’evoluzione dello scibile umano al fine di evitare che questo, a causa della naturale pigrizia generalmente insita nell’uomo, divenga, a lungo andare, il mero riflesso di sé stesso.
Difatti, il suindicato art. 9 della Costituzione mira a promuovere lo «sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica», conferendo una valenza di rango primario anche al progresso collettivo del sapere umano. Questa interpretazione parte dall’assunto per cui, affinché vi sia una qualche forma di progresso, è necessario impiegare uno strumento deterrente volto a disincentivare la mera emulazione delle creazioni altrui, non potendosi, per ovvie ragioni, tutelare l’epigono alla pari dell’artista. Pertanto, gli artt. 2575 c.c. e 1 L.d.a. vincolano la concessione della tutela autoriale al fatto che l’opera sia caratterizzata da un apporto creativo, senza tuttavia offrire una definizione di tale requisito, il quale è stato frutto di successive elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali volte a sopperire a tale lacuna.
Secondo dottrina consolidata, il requisito della creatività è composto da due caratteristiche essenziali che devono essere contestualmente presenti, ossia la novità e l’originalità dell’opera. Dunque, un’opera deve contenere in re ipsa una qualche forma di innovazione, tale da consentirne il distinguo rispetto a quelle preesistenti. Tale impostazione è stata fatta propria anche dai giudici di legittimità, i quali hanno ribadito che «il carattere creativo e la novità dell'opera sono elementi costitutivi del diritto d'autore sull'opera dell'ingegno […]». Ad ogni buon conto, il livello di creatività e originalità richiesto dalla giurisprudenza nazionale affinché un’opera dell’ingegno rientri nell’alveo delle opere protette dal diritto d’autore tende ad essere piuttosto modesto, non essendo necessario che si tratti di una novità assoluta e non potendosi escludere aprioristicamente tale forma di tutela per le opere caratterizzate da idee e nozioni semplici.
Tuttavia, data la forte soggettività caratterizzante il diritto della proprietà individuale, il solo elemento della creatività non è stato ritenuto di per sé sufficiente all’ottenimento della tutela autoriale e, a tal proposito, secondo giurisprudenza consolidata, l’opera deve contenere anche il riflesso della personalità dell’autore, ossia della sua soggettività, nella forma di espressione prescelta per la rappresentazione delle idee che ne sono alla base.
Gli assiomi giuridici di cui si è appena detto sono stati messi inesorabilmente in crisi col recente avvento delle intelligenze artificiali generative, in quanto la creazione di opere dell’ingegno è passata dall’essere una prerogativa esclusiva della specie uomo ad essere appannaggio di macchine prive di scienza, capaci di produrre «autonomamente» file di testo, immagini, video, opere musicali in risposta a degli specifici comandi provenienti dall’utilizzatore (c.d. prompt).
Per questioni di chiarezza espositiva si specifica sin d’ora che saranno oggetto della presente analisi solamente le opere AI Generated in cui l’apporto umano risulta essere risibile rispetto al «lavoro» svolto dal software. Difatti, allo stato, non pare sia questionabile la titolarità del diritto d’autore qualora lo strumento informatico venga impiegato dall’uomo al mero fine di coadiuvare il proprio lavoro creativo, essendo la questione stata risolta da una pronuncia equanime – ed ampiamente condivisibile – del giudice di legittimità. Le medesime questioni giuridiche ed etiche si presentano mutatis mutandis anche con riferimento alle tematiche di proprietà industriale.
Pertanto, alla luce delle premesse specificate ut supra, viene spontaneo chiedersi se detti software di intelligenza artificiale siano o meno in grado di produrre opere dotate dei requisiti dell’originalità e creatività e se, pertanto, le loro creazioni siano definibili «opere dell’ingegno» ai sensi degli artt. 2575 c.c. e 1 L.d.a., col conseguente problema, ampiamente discusso in dottrina, di individuazione del soggetto titolare di tale diritto.
Di primo acchito la risposta a tale quesito parrebbe essere necessariamente positiva, in quanto le opere prodotte da algoritmi computazionali sono spesso indistinguibili da quelle realizzate da artisti esperti, nonché, talvolta, connotate da caratteristiche estetiche che le rendono profondamente originali. Tuttavia, prima di giungere a conclusioni corrive, pare opportuno soffermarsi puntualmente sull’eventuale rispondenza di tali creazioni ai suindicati requisiti di creatività, novità e rispondenza dell’opera intellettuale alla personalità dell’autore.
Creatività, personalità dell’autore e intelligenza artificiale
In un certo senso, volendo adottare una metafora poetica, potrebbe asserirsi che i sistemi di intelligenza artificiale generano le opere dell’ingegno attraverso uno schema di «ragionamento onirico», frutto di una sorta di subconscio artificiale del software. Segnatamente, le intelligenze artificiali generative vengono «allenate» a svolgere le funzioni per cui sono programmate mediante l’assimilazione di un’immensa quantità di input – ossia di dati – che andranno a formare il database di riferimento dell’algoritmo – assimilabile in maniera non del tutto peregrina all’insieme delle esperienze di vita dell’essere umano. La consistenza ed il contenuto del database incidono in maniera significativa sull’output finale che verrà prodotto in risposta al prompt dell’utilizzatore, il tutto senza che vi sia la possibilità di risalire ai passaggi «logici» che hanno determinato l’esito finale, quasi si trattasse del frutto, per l’appunto, di un sogno: se ne conosce il contenuto ma non si possono comprendere le influenze del subconscio da cui è scaturito. Similmente, le opere dell’ingegno prodotte dall’essere umano sono l’esito di un processo di rielaborazione – più o meno cosciente – di una serie incalcolabile di stimoli provenienti dall’esterno, che fungono da catalizzatore per la produzione di opere d’inventiva.
Si potrebbe pertanto sostenere che le opere generate da alcune Intelligenze Artificiali particolarmente avanzate siano a tutti gli effetti dotate dei requisiti di creatività e novità richiesti dalla giurisprudenza, in quanto consistono in rielaborazioni originali di un insieme amplissimo di dati, talmente ampio che tacciare tali opere di plagio risulta spesso assolutamente impossibile, non potendosi riscontrare l’influenza predominante di uno o più artisti.
In continuità con quanto detto, parrebbe parimenti scorretto sostenere l’assenza di creatività od originalità di tali opere adducendo la motivazione secondo cui la macchina non è in grado di produrre nulla senza il prompt del suo utilizzatore. Questo assunto pare, infatti, scorretto poiché il comando impartito dall’utente risulta essere assimilabile a una mera idea, ossia a un pensiero astratto abbozzato in poche righe da cui promana una creazione frutto del «lavoro» dell’intelligenza artificiale stessa e, come noto, la normativa sul diritto d’autore non tutela le mere idee bensì la loro espressione. In tal senso, pur essendo pacifico il fatto che l’autore di un’opera possa servirsi di strumenti ovvero di soggetti terzi volti a dare un apporto meramente materiale, privo di un autonomo contributo creativo, non pare sia questo il caso con riferimento all’utilizzo di questi nuovi strumenti di intelligenza artificiale generativa. Difatti, l’utente del software, più che al soggetto da cui promana l’impulso creativo volto a dare vita all’opera creativa, parrebbe essere assimilabile a un semplice committente il cui unico apporto creativo, tendenzialmente, consiste nel dare delle linee di massima allo strumento informatico.
Un unico aspetto dirimente, a mio avviso, non consente ad oggi di assoggettare alla tutela autoriale le opere prodotte dall’intelligenza artificiale, ed è la loro totale carenza dell’attitudine a riflettere la personalità del loro autore. Difatti, gli attuali sistemi di intelligenza artificiale non possono definirsi dotate di una personalità propria, ossia di caratteristiche cognitive e comportamentali distintive ed univoche che vengono riversate nelle loro creazioni. La «personalità» di un’intelligenza artificiale, allo stato, viene quasi univocamente determinata dal programmatore; ma non è da escludersi che la frenetica evoluzione delle intelligenze artificiali generative non le renderà progressivamente distinguibili le une dalle altre, al punto da consentire a un occhio allenato di distinguere le opere prodotte dai diversi software e di affermare che riflettono chiaramente la «personalità» dell’algoritmo che l’ha prodotta. Questo assunto è a maggior ragione vero se si pensa al fatto che le più recenti intelligenze artificiali sono ormai in grado di «apprendere» autonomamente, senza che vi sia la necessità di un monitoraggio costante da parte di programmatori umani, al punto da essere dotate, in un certo senso, di una propria individualità che sfugge al controllo del loro creatore.
Pare dunque corretto affermare che le opere prodotte dall’intelligenza artificiale, in molti casi, soddisfano i requisiti necessari per poter godere a pieno della tutela autoriale, specie se si considera il fatto che il dettato normativo, per ovvi motivi cronologici, non dispone che l’autore debba necessariamente essere umano. Tuttavia, per una serie variegata di motivi di cui si dirà infra, pare corretto e addirittura necessario che la tutela intellettuale continui a rimanere antropocentrica, necessitandosi tutt’al più di nuovi istituti atti a regolare in maniera sistematica le opere creative generate dalle intelligenze artificiali, pena il rischio di compromettere in maniera irrevocabile buona parte degli assiomi fondamentali che caratterizzano non solo il diritto della proprietà intellettuale, bensì tutto il diritto privato.
Opere AI generated e apporto umano: un binomio irrinunciabile
Come affermato supra, giustamente, «la personalità di un’intelligenza artificiale, allo stato, viene quasi univocamente determinata dal programmatore»; e proprio da questo spunto, è possibile argomentare.
Se è vero che un sistema di IA non agisce autonomamente, appare logico concludere che nemmeno si possa definire un autore, capace di un’opera creativa. Eppure, in passato, un quesito simile si è posto in relazione a degli autoscatti, catturati da un primate: il riferimento è al celeberrimo caso Naruto v. Slater, caso cui la Ninth Circuit US Court of Appeals ha reso una soluzione. Brevitatis causa, si dirà ciò che è indispensabile sul caso: l’associazione animalista PETA si pose come next friend del macaco Naruto per far valere i diritti d’autore che, a sua detta, spettavano all’animale su alcuni autoscatti realizzati con l’attrezzatura di un fotografo che, a sua volta, aveva rivendicato la paternità di tali creazioni. La Corte d’Appello concluse nel senso che non fosse possibile in alcun modo ritenere un soggetto diverso da un essere umano come titolare di diritti d’autore, limitandosi ad affermare che, quanto al dato normativo, è impossibile accogliere un’allegazione come quella prospettata da PETA. Se in questo caso la Corte definì, letteralmente «an easy question» quella relativa ad un’autorialità non umana, il continuo evolversi della tecnologia pone sfide sicuramente di risoluzione meno pronta: anche se non si può riconoscere, sic stantibus rebus, una personalità all’IA, si può senza dubbio affermare che, in negativo, essa possa vanificare il contributo di chi, materialmente, inserisce l’input dal quale la macchina trae spunto per generare, si ponga, un’immagine.
In questi casi, in cui l’uomo estrinseca poco o nulla della propria personalità all’interno del prodotto finale, è pensabile riconoscere una tutela autoriale a tali creazioni? Volendo accogliere quanto affermato finora, la risposta non può che essere negativa, agganciandosi al lapidario dato normativo che non lascia spazio alla tutela di opere che non siano creative e originali, intendendosi la creatività estrinsecazione della personalità che, evidentemente, un sistema di IA non possiede.
Un caso simile a quello in cui un’opera viene generata da un sistema di intelligenza artificiale si è verificato, in ogni caso, nel Bel Paese, ed è giunto fino alla Suprema Corte. Si tratta di un caso che ha visto fronteggiarsi la RAI e un architetto, Chiara Biancheri, intorno alla violazione del diritto d’autore su un’immagine, proiettata come sfondo in diretta televisiva durante il festival di San Remo del 2016. Tale immagine, infatti, venne generata precedentemente al festival dall’architetto Biancheri tramite un software; la RAI, ritenendo, probabilmente – e come ha poi affermato in giudizio – che l’opera fosse stata generata da un soggetto non umano materialmente e, dunque, fosse priva di diritto d’autore, proiettò tale immagine sullo sfondo del festival senza un preventivo accordo con l’autrice che, pertanto, agì in giudizio allegando la violazione del diritto d’autore.
Ebbene, giunti in Cassazione, dopo due sentenze che accordarono ragione all’architetto Biancheri, la Suprema Corte rigettò il ricorso della RAI con l’ordinanza 1107/2023 della Sezione I. In un passaggio fondamentale della motivazione del rigetto, la Suprema Corte afferma che «non è certamente sufficiente l’ammissione della controparte di aver utilizzato un software per generare l’immagine, circostanza questa che, come ammette la stessa ricorrente, è pur sempre compatibile con l’elaborazione di un’opera dell’ingegno con un tasso di creatività che andrebbe solo scrutinato con maggior rigore».
Il caso, sebbene vertesse su un’opera generata con l’ausilio di un software diverso dall'IA, non può che far sorgere delle pregnanti considerazioni in merito alla posizione della Suprema Corte. In primo luogo, è sicuramente degno di nota come la Corte assimili il software ad uno strumento con il quale un’immagine è generata: dunque, un mezzo per l’estrinsecazione della personalità dell’autore, cui andrebbe attribuito il diritto d’autore. Ciò non è in contrasto con quanto prima affermato ma, anzi, lo conferma: un’opera in sé generata dall’IA, senza un apporto di personalità umana, non sarebbe comunque proteggibile con il diritto d’autore, potendo essere, eventualmente, originale, ma non creativa nel senso attribuito alla parola da giurisprudenza costante.
Inevitabilmente, il secondo passaggio della Corte nel periodo supra riportato è da esaminarsi per completare il concetto. Il «tasso di creatività […] andrebbe solo scrutinato con maggior rigore», sostiene la Corte, ammonendo, in modo condivisibile, che la macchina potrebbe rendere talmente esiguo da rendere insignificante il tasso di creatività apportato dall’autore umano; che, quindi, è pur sempre alla base della tutela ressa dal diritto d’autore, in una prospettiva senza dubbio alcuno antropocentrica.
Opera nullius
Postulata la prospettiva antropocentrica di cui si diceva – declinata in diverse forme – rimane tuttavia un interrogativo non irrilevante: a chi vanno riconosciuti diritti – ammesso che vadano riconosciuti – su di una immagine che non presenta un apporto umano degno di nota?
Ebbene, guardando oltreoceano, bisogna prendere in considerazione degli interventi giurisprudenziali, nonché quanto detto dal Copyright Office. In prima istanza, si esamini il caso di una decisione del Review Board dell’ente governativo, in merito al reclamo presentato dal signor Allen, contro il rifiuto di registrare un’immagine da sé generata con l’ausilio – e niente più, a sua detta – dell’intelligenza artificiale.
Venne, il 5 settembre del 2023, confermato l’orientamento espresso in precedenza dall’Ufficio; ma, ciò che interessa, è la motivazione, tacendo del merito. Si parta da un presupposto: lo «human authorship requirement» è un elemento imprescindibile perché un’opera sia proteggibile dal diritto d’autore, come espresso dalle linee guida denominate «Copyright Registration: Works Containing Material Generated by Artificial Intelligence». Proprio su queste basi, si sviluppa il ragionamento del Review Board, che ritenne non sufficiente il contributo umano all’opera del signor Allen, esplicitando «the Board finds that the Work contains more than a de minimis amount of content generated by artificial intelligence».
L’approccio, dunque, appare chiaro: non si possono riconoscere diritti ad alcuno, se l’immagine non sia espressione della personalità di alcuno. Sulla stessa linea si pone la sentenza Thaler v. Perlmutter, dove a essere convenuta era una rappresentante per il Review Board di cui si è detto, proprio per contestare, di fronte alla district court for the district of Columbia, di Washington, un altro rigetto della richiesta di essere riconosciuto autore di un’opera generata da un software di IA, avanzata dal signor Thaler. Sulla falsariga di quanto affermato nella decisione del Review Board nel caso precedentemente esposto, la Corte, confermando il rigetto dell’ente governativo, afferma in motivazione che l’ingegno umano è «[condicio] sine qua non at the core of copirightability».
Il ragionamento giuridico del signor Thaler poggiava invece, per il vero, su basi che potrebbero essere ritenute solide: stando alla giurisprudenza consolidata dal caso Naruto – argomentava – un essere non umano non può essere titolare di alcun diritto, tantomeno del diritto d’autore, considerando le leggi vigenti negli Stati Uniti.
Per ovvie ragioni, conseguentemente, il diritto d’autore su un’immagine generata da un software di sua proprietà doveva essere a sé riconosciuto. Non aveva fatto i conti l’attore, tuttavia, con una questione molto più radicale: sussiste davvero un diritto d’autore, sull’immagine di cui si affermava autore? La Corte, difatti, con affermando che l’ingegno umano è [condicio] sine qua non per poter proteggere un’opera con il diritto d’autore, elude il problema dell’attribuzione di un diritto, radicalmente escludendone l’esistenza. Una soluzione, quella della Corte, che, tuttavia, non rende una regola per il flusso di opere ritenute non degne di protezione secondo le norme sul diritto d’autore, ovverosia quelle dove viene ritenuto mancante il requisito della human authorship.
Questo tema, invero, costituisce un grande interrogativo cui non è ancora stata data una risposta condivisa; ma, spostandosi nuovamente nel vecchio continente, vi è chi desidererebbe introdurre una modifica alle leggi vigenti che affronti anche questo problema. Il riferimento è alla proposta di legge 1630/2023 di un gruppo di parlamentari francesi, che, letteralmente, è detta essere «volta a inquadrare l’intelligenza artificiale attraverso il diritto d’autore». La proposta mira alla modifica del Code de la propriété intellectuelle nel senso di adattarlo alla «nuova creatività» espressa dall’intelligenza artificiale, con l’ambizione di proteggere il lavoro degli artisti e, in generale, di chi crea nuove opere e al contempo di non lasciare vuoti normativi, con riferimento alle opere senza un apparente autore, in quanto mancanti del requisito di un apporto umano significativo.
Al riguardo, tacendo delle altre modifiche, viene proposta un’aggiunta che ha per oggetto l’articolo L. 321-2, e affronta il tema delle opere generate da intelligenza artificiale senza alcun intervento umano – o, per lo meno, un intervento ritenuto rilevante. In tal caso, si propone che la proprietà intellettuale su tali opere, senza contributo umano, debba essere riconosciuta ai «soli autori o aventi diritto sulle opere che hanno reso possibile la progettazione della suddetta opera artificiale». Il tentativo è, dunque, quello di ricondurre ad un autore certo le opere che, altrimenti, non sarebbero nemmeno proteggibili, come hanno concluso le Corti statunitensi, in quanto non frutto dell’ingegno umano: si vede, da questa prospettiva, un’opera generata da un soggetto non-umano come un’opera composita, assemblata da una macchina ma pur sempre frutto di sforzi dell’intelletto.
A tal proposito, è rilevante la menzione dei soggetti che hanno diritto sulle opere: in tal senso, nel momento in cui il diritto di sfruttamento dell’opera, vincolato all’utilizzo di essa in un sistema di intelligenza artificiale, è concesso ai creatori dell’intelligenza artificiale, il diritto d’autore apparterrebbe a tali soggetti – o almeno, questo è ciò che dal testo appare.
5. Conclusioni
A conclusione della breve disamina appena proposta, appaiono logicamente consequenziali delle osservazioni. In primis, si evince che un’opera, seppure generata da (rectius, tramite) l’intelligenza artificiale può effettivamente risultare proteggibile con lo strumento del diritto d’autore: sarebbe un errore escludere aprioristicamente la creatività di una tale opera. Dall’altro lato, tuttavia, ciò pone nella posizione di trarre una seconda conclusione: caso per caso sarà necessario verificare se e quanto l’ausilio dell’intelligenza artificiale abbia affiancato (o soppiantato) l’ingegno umano. Come nei casi supra citati, risulta comunque fondamentale il requisito di quella che, oltreoceano, è stata definita human authorship: il Review Board, per l’appunto, ha definito come non possa essere presente in un’opera più di un «de minimis amount of content generated by artificial intelligence», che renderebbe vano lo sforzo creativo umano e, dunque, impensabile la registrazione del diritto d’autore per l’opera. Ebbene, come in (quasi) tutti i temi giuridici non esiste una soluzione univoca, ma si può, comunque, delineare dei criteri guida che il diritto vivente sta già delineando per fornire una regola, quantomeno tendenziale, ad un problema che nei prossimi tempi sarà, presumibilmente, foriero di molteplici controversie in materia di proprietà intellettuale.
Di Leonardo Brnelic (§§ 1 e 2) e Luca Polesel (§§3 e 4).
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